L’età media delle coppie che fanno ricorso alla medicina della riproduzione è in continuo aumento, ridefinendo le dimensioni del problema. Con l’avanzare dell’età si instaura una evidente riduzione della fertilità della donna, sia nei cicli spontanei, che nei cicli in cui viene instaurata una terapia di induzione dell’ovulazione mediante gonadotropine (alfa o beta follitropina). Questo declino naturale della fertilità inizia, già verso gli ultimi anni della seconda decade, manifestandosi in tutta la sua evidenza intorno alla quarta decade. Un terzo delle donne che decide di concepire un bambino alla fine della terza decade, e ben più della metà delle donne che decidono di concepire nella quarta decade, ha scarsissime possibilità di realizzare il suo progetto di maternità , sia per il basso tasso di concepimento che per l’alta percentuale di aborto spontaneo. Modelli matematici, applicati alla valutazione della fertilità della donna calcolano la probabilità di perdita embrionale intorno ai venti anni, in un 20%, con un successivo marcato aumento fino al 96% intorno ai quaranta anni. L’età ha un peso significativamente maggiore nella partner femminile e incide pesantemente sulla prognosi riproduttiva della coppia. Fra le donne che ricorrono alla procreazione medicalmente assistita (PMA), quelle di età superiore a 40 anni sono una piccola popolazione di pazienti, seppure in costante aumento, che spesso viene associata al numero, per altro non trascurabile, di pazienti definite come poco “responsive” alla stimolazione ovarica. Spesso gli sforzi per il raggiungimento della gravidanza e il suo proseguimento, fino ad un esito positivo, definito comunemente “bimbo-in-braccio” per definire l’esito positivo del ciclo di riproduzione assistita, culminano in un elenco di fallimenti anche quando il sostegno terapeutico segue le ultime frontiere della tecnica.
Il declino della fertilità femminile, correlato all’età della paziente, è ben documentabile soprattutto in donne sottoposte a cicli di Inseminazione Intra-Uterina da Donatore (IAD), una procedura che prevede l’inseminazione della cellula uovo all’interno dell’utero utilizzando lo sperma di un donatore. In questa procedura, nella quale si ha la ragionevole certezza che lo sperma è efficace, gli insuccessi possono dipendere da una ridotta capacità l’uovo fecondato (concetto definito come ridotta recettività uterina) o da cellule uovo di qualità inadeguata, vale a dire poco efficienti nello sviluppare l’embrione una volta fecondate. Molti autori riportano in letteratura un significativo decremento delle probabilità di gravidanza dopo i 40 anni (1-4).
Verso i quaranta anni il valore dell’ormone follicolo stimolante (FSH) sierico basale comincia ad innalzarsi riflettendo la riduzione del numero dei follicoli localizzati nell’antro dell’ovaio (antrali), ossia quelli destinati a maturare fino all’ovulazione (5).
Questo innalzamento dell’FSH può verificarsi anche dieci anni prima della menopausa ed è tanto più marcato, quanto meno intensa è la risposta dell’ovaio alla somministrazione di gonadotropine esogene, causata da meccanismi di controllo regolati da vari ormoni (6).
A tal proposito sono stati introdotti nella pratica clinica esami per la valutazione della riserva ovarica, vale a dire del potenziale che ogni donna ha di produrre ovociti di buona qualità , come il dosaggio basale dell’FSH, il test al clomifene citrato, la conta dei follicoli preantrali per mezzo di un’ecografia eseguita durante la fase follicolare precoce e la misurazione del volume ovarico basale, sempre eseguita con ecografia. Tutto ciò premesso, sembrerebbe opportuno valutare comunque la riserva ovarica delle pazienti, a prescindere dalla loro età biologica.
La correlazione tra declino della fertilità e riserva ovarica sembra assumere ormai le caratteristiche di un binomio inscindibile.
L’età penalizza soprattutto il sesso femminile
Il patrimonio follicolare di una donna si determina quando nella vita del feto si sviluppa nell’utero materno. Al completamento di tale sviluppo, il numero complessivo dei follicoli contenuti nell’ovaio del feto si aggira intorno a svariati milioni. Tale numero si riduce drasticamente alla pubertà quando viene stimato intorno ai 300.000 – 500.000 follicoli che rappresenteranno il definitivo patrimonio riproduttivo della donna. Il numero di follicoli è sottoposto poi ad un conto alla rovescia che culminerà con l’esaurimento della riserva ovarica che porterà , al sopraggiungere della menopausa, alla cessazione della funzione riproduttiva delle gonadi femminili. Il processo di riduzione numerica dei cromosomi, noto come meiosi, che per gli spermatozoi è relativamente breve (poche settimane), per gli ovociti è molto più lungo, rispetto ad altre cellule. Gli ovociti, infatti, iniziano tale processo di dimezzamento del patrimonio genetico già nel corso della vita dell’embrione nell’utero della madre, per poi subire un periodo relativamente lungo di arresto che va dalla nascita alla pubertà . Tale fase critica di “arresto”, unitamente all’invecchiamento, si traduce in biologiche alterazioni strutturali e funzionali dell’ovocita che aumentano la possibilità di danni ai geni nel corso del processo di divisione meiotica. Questi, a loro volta, si traducono in un aumento delle anomalie cromosomiche, che inevitabilmente limitano l’efficacia della funzione riproduttiva, riducendo sensibilmente il numero degli ovociti capaci di generare embrioni sani, riducendo ulteriormente la possibilità di concepimento
In entrambi i sessi la funzione riproduttiva raggiunge la massima efficienza tra i 20 e i 25 anni, per poi iniziare a diminuire gradualmente. Il tempo che passa, tuttavia, incide in misura assai diversa nei due sessi. La capacità di concepimento nel caso dell’uomo ha un andamento assai più stabile e tende a conservarsi con il passare degli anni, pur mostrando una tendenza al peggioramento delle caratteristiche degli spermatozoi dopo i 50 anni di età . Nella donna mantiene una certa stabilità solo fino ai 30 anni per poi precipitare, con un primo netto calo sopra i 35 anni ed una diminuzione ancora più drastica dopo i 40 anni. L’età media della menopausa è stimata intorno ai 51 anni, ma a partire dai 44-45 anni le probabilità riproduttive sono significativamente ridotte.
Età e fertilità negli uomini
Assai diverso è l’effetto del passare del tempo sulla fertilità nel sesso maschile. Sebbene nessun uomo possa sottrarsi alla senescenza, l’età sembra avere un impatto meno negativo sulla fertilità maschile, considerando che gli spermatozoi vengono prodotti per tutta la vita del maschio e, a differenza degli ovociti che ricordiamo hanno l’età biologica della donna cui va aggiunto il tempo trascorso in utero, non invecchiano insieme al loro “proprietario”.
La spermatogenesi si svolge ininterrottamente all’interno dei testicoli durante l’intera vita dell’individuo. Il “ciclo di produzione” infatti, dura circa 72 giorni, dunque ogni 3 mesi un uomo rinnova completamente il suo patrimonio di spermatozoi.” Questo non significa che l’età biologica non influenzi la fertilità maschile.
Sebbene non si possa tracciare un parallelismo con quanto accade nella vita di una donna, nella quale la menopausa crea una demarcazione temporale che divide la vita fertile dalla senescenza, tuttavia, a partire dai 50 – 65 anni di età , anche nell’uomo si osserva un graduale declino della capacità fecondante dello sperma.
I primi studi condotti in questo settore, nell’ormai lontano 1983, mostrano una diminuzione dei livelli plasmatici di testosterone totale e libero nonché un incremento delle SHBG e delle gonadotropine a partire dall’età di 41 anni (8).
A conferma di tali osservazioni biochimiche, uno studio di Baccetti et al., dello stesso anno, evidenzia una riduzione numerica, statisticamente significativa, delle cellule di Leydig e del Sertoli, presenti nei testicoli e necessarie per la produzione degli spermatozoi, in campioni di biopsia testicolare di soggetti con età superiore a 70 anni, correlata ad un impoverimento complessivo dei parametri che valutano lo sperma come concentrazione, motilità rapida progressiva e normale morfologia degli spermatozoi, rispetto ad un gruppo di controllo costituito da soggetti più giovani (9). Il fisiologico processo di invecchiamento porta con sé tutta una serie di patologie croniche internistiche che inevitabilmente per loro stessa natura o come conseguenza delle terapie prolungate, possono alterare ulteriormente la qualità degli spermatozoi, interferendo con l’attività biologica degli steroidi sessuali e, in ultima analisi, con i sofisticati meccanismi della spermatogenesi.
Bibliografia
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- Davidson JM et al. Hormonal changes and sexual function in ageing men. J Clin Endocrinol Metab 57:71, 1983.
- Baccetti B. et al. Sperm structure and funtion in 70 years old human. In: Andre J. (Ed.), The sperm cell. Martinus Nijhoff Publisher, The Hague/Boston/London, 1983,19.